Quante volte durante i giorni della pandemia ci si è messi intorno al tavolo con i bambini per disegnare o semplicemente scarabocchiare? Tantissime.

I più grandi raffiguravano la casa, gli adulti, la scuola chiusa, gli oggetti, qualcuno anche dei sogni, o ricopiavano i fumetti. I più piccini provavano a scrivere frasi e lettere, ed erano sgorbi, scarabocchi, ghirigori colorati, viluppi di segni. Qualcuno succhiava la matita come fosse un biberon, a volte c’era il lancio dei pennarelli.
In quei giorni sentivamo il bisogno di manifestare il nostro corpo, di farlo incontrare con quello degli altri nella lontananza forzata.
Per questo quando abbiamo pensato di ritrovarci a Novara con la 3. edizione di
Scarabocchi. Il mio primo festival, il titolo c’era già: Corpi. Il corpo dei bambini e dei genitori, il corpo degli illustratori e degli artisti, il corpo della città e quello dei suoi spazi aperti.

Nel cortile del Broletto ci saranno appuntamenti per bambini e adulti, nelle stanze d’artista eserciteremo le mani, le braccia, gli occhi, la testa e anche il naso. Ci saranno officine, piccoli atelier, laboratori e anche spettacoli, perché il corpo ha bisogno di presenze: la propria e quella degli altri. Il tutto in una condizione di estrema attenzione e controllo: una socialità da ritrovare a piccoli passi.

Secondo l’antropologo Wolfgang Schad l’attività del disegno infantile è legata in modo stretto alla forma stessa del corpo, alla respirazione in particolare, allo sviluppo e alla crescita dei bambini. Quando si calcifica l’ultimo molare in quattro punte, il bambino perde la capacità di disegnare e scarabocchiare con totale spontaneità e grazia. Dal caos grafico si passa di colpo ad attività volte invece all’astrazione.
Quando abbiamo pensato a questo festival tre anni fa è stato per sperimentare ancora una volta con i bambini la magia del segnare di sé fogli e cartoncini, e per i genitori ritrovare quel momento magico da cui ci si è separati di colpo tanto tempo fa.

 

Marco Belpoliti
curatore Scarabocchi

 

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